La Maturità – De André: L’Umile Trionfo del Cantautorato Esistenzialista di un Poeta Anarchico


Nei primi anni ’60, dopo il grande movimento dei cantautori degli anni ’50, che saranno per lo più attivi anche in questi anni, si assiste al completo instauramento della canzone d’autore nel panorama musicale italiano. La cosiddetta Seconda Stagione dei cantautori, di età non molto diverse dai loro colleghi ed amici della prima, è composta da artisti che rispecchiano il sentimento di rivolta e disagio sociale che si respira molto di più degli anni precedenti. Il grandissimo cambiamento introdotto dal rock non impedisce alla canzone d’autore di affermarsi come alternativa ad un sistema ormai marcio. Il solido basamento di questo periodo è Fabrizio De Andrè (1940-1999), considerato il più grande cantautore italiano, grande ammiratore del grande Modugno, e maggiore interprete del puro scopo del mestiere di cantante e autore: l’impegno sociale coniugato alla canzone d’amore, la ribellione contro la società coniugata al carattere romantico delle sue ballate. Incarna, dunque, l’apice di questo movimento italiano, poiché le sue non sono solo canzoni o album, ma “opere musicali”, come le definirà poi Morgan, suo grande estimatore, che includono un grande impegno sociale, una grandissima sensibilità, e una innata capacità tecnica in campo musicale e poetico letterario. Fu anche profondo conoscitore e studioso della glottologia genovese, sarda e gallurese, e in parte anche napoletana. Di simpatie anarchiche e pacifiste, gli sono state dedicate piazze e vie appena dopo la sua prematura scomparsa. Nato a Genova da una famiglia di alta borghesia industriale, da genitori piemontese; il padre, vicesindato di Genova del Partito Repubblicano, ricercato dalle squadre d’azione fasciste, trova rifugio nel paese natale, a Revignano d’Asti, dove Fabrizio vive l’infanzia. Il suo comportamento provocatorio e fuori dagli schemi divenne famoso nella scuola pubblica alla quale era stato mandato, e il padre lo fece trasferire alla severa scuola dei Gesuiti dell’Arecco. Scuola di rampolli della Genova per bene, l’istituto assistette ad un episodio di tentativo di molestia sessuale da parte di un gesuita nei confronti di Fabrizio, che tuttavia ebbe una reazione irriverente e pronta, prolungata e chiassosa, tanto che alla fine l’ordine lo espulse per placare lo scandalo. Ma suo padre Giuseppe, eroe della Resistenza, ne venne a conoscenza e ordinò di aprire un’inchiesta al Provveditorato, e il gesuita fu allontanato. Fabrizio frequentò poi corsi di medicina e lettere, prima di approdare alla facoltà di Giurisprudenza all’Università di Genova, ispirato dal fratello Mauro che diverrà un noto avvocato. A sei esami dalla laurea abbandona tutto e si dedica alla musica. Georges Brassens lo affascina, e la sua carriera inizia dagli incontri con Tenco, Paoli, Bindi e la scuola genovese dei cantautori, di cui Fabrizio sarà l’ultimo esponente di maggior importanza. La vita sregolata che ebbe quel periodo creò degli attriti con la sua famiglia; insieme all’amico Paolo Villaggio praticava lavori saltuari, mentre si dedicavano l’uno alla musica, l’altro alla letteratura e alla poesia. La sua prima moglie, Enrica detta Puny, gli diede in quei primi anni ’60 suo figlio Cristiano. Divenne, per sostenere la sua nuova famiglia, insegnante in un istituto privato. Ma quando Mina fece diventare celebre “La canzone di Marinella” di Fabrizio, con la sua interpretazione, la strada per il successo si aprì. Nel ’61 pubblica il suo primo 45 giri, contenente “Nuvole barocche” e “E fu la notte”, superando l’esame di autore alla Siae, a suo dire, utilizzando parte del testo di una canzone di Jacques Prévert. In questo periodo riesce ad affermarsi, fondendo atmosfere di musiche francofone, tematiche sociali trattate con crudo realismo o metafore poetiche, tradizioni mediterranee o internazionali. Nel ’67 esce “Volume I”, contenente successi come “Si chiamava Gesù”, “Bocca di Rosa”, “Via del campo”, “La morte”, “La canzone di Barbara”, “La stagione del tuo amore”, “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers” e “Preghiera in Gennaio”, dedicata all’appena defunto Luigi Tenco, suo caro amico. In questo primo periodo si avverte, e questo tono rimarrà sempre, una nota amara sulla classe borghese benpensante che deride gli strati più umili della società, non sapendo che dietro quelle vite ci sono sofferenze e ingiustizie. Contro il perbenismo della società dell’epoca si scaglia poi la sua canzone simbolo, “Bocca di Rosa”, nella quale Fabrizio si riconosce. Già comincia ad emergere un primo canto pastorale e bucolico, in una ambientazione arcadica e surreale. Il successivo album “Tutti morimmo a stento”, del ’68, indaga gli aspetti più controversi della vita, dalla droga all’amore deluso, alla fiducia mal riposta, alle stagioni della vita pungente: “Cantico dei drogati”, “Leggenda di Natale”, “Ballata degli impiccati”, “Inverno” e i vari intermezzi musicali tra una canzone e l’altra. Sempre nel ’68 pubblica “Volume III”, contenente successi che riprendono temi affrontati da Brassens, con musicalità medievali e moderne: “La guerra di Piero”, “Il testamento”, “Amore che vieni amore che vai”, “La ballata del Miché” e “Il gorilla”, ironia sulla ghigliottina e la pena di morte, anch’essa ripresa da un tema di Brassens. Comincia il periodo dell’esistenzialismo, dell’indagine introspettiva. L’album “La buona novella”, che Fabrizio definirà il suo album più riuscito, abbandona i temi Barocchi di Tutti morimmo a stento, polverosi e che portano il peso della Controriforma, come dirà Faber, e si concentra sul tema dei vangeli apocrifi. In piena rivolta studentesca, De André decide di impegnarsi in questa opera perché sente la necessità di fare un parallelismo tra le lotte studentesche e il rifiuto dell’autorità e dei soprusi, in nome dell’uguaglianza, della figura di Cristo, non come una divinità ma come un eroe civile, un’icona della libertà: “Laudate Dominum”, “Ave Maria”, “Maria nella bottega d’un falegname”, “Via della Croce”, “Tre madri”, “Il Testamento di Tito”, “Laudate Hominem”. Dai toni graziosi e lieti di una giovane Maria si passa alla straziante sofferenza vista con sentimenti umani. L’album successivo, “Non al denaro non all’amore né al cielo”, è un libero adattamento del ’71 all’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, raccolta di epigrammi su alcune lapidi nel cimitero di Spoon River, con storie singolari al limite dell’assurdo, a volte drammatiche, a volte comiche, o significative, tradotto in epoca fascista da Fernanda Pivano, poi amica di Faber, che compose le musiche di quest’opera con il maestro Nicola Piovani: “La collina”, “Un matto”, “Un giudice”, “Un malato di cuore”, “Un chimico”, “Un ottico”, “Un blasfemo”, “Un medico”, “Il suonatore Jones”. Il 1973 fu l’anno di “Storia di un impiegato”, un concept album tremendamente impregnato di critiche politiche e sociali contro la classe dirigente italiana, in nome del collettivismo che si sostituisce all’individualismo egoista e allo stato organicista irrispettoso, la storia di una voglia di cambiamento: “Canzone del Maggio”, “Il bombarolo”, “Verranno a chiederti del nostro amore”, “Nella mia ora di libertà” sono alcuni titoli. Nel 1974 propone “Canzoni”, settimo album, nel quale collabora con Francesco De Gregori, che lo influenza con il folk e rock anglosassone: è la fine dei concept album e l’inizio di una nuova fase per il cantautore genovese. Durante la registrazione del disco conosce la giovane Dori Ghezzi, sua futura moglie. “Morire per delle idee”, “Via della povertà”, “La ballata dell’amore cieco o della vanità”, “La canzone dell’amore perduto”, “La città vecchia”, “Delitto di paese”, “Valzer per un amore” sono le principali canzoni, dove Faber alterna toni critici e ironico allusivi a toni romantici. Il periodo che segue è di grande cambiamento: inizia la crisi di Fabrizio, ora che sta cominciando ad esibirsi anche dal vivo, cosa che non aveva mai avuto il coraggio di fare. Lavoratore instancabile al limite del perfezionismo, si imbottirà di whisky prima dei suoi concerti. In questo periodo la critica afferma che Faber capisce ciò di cui parlava nelle sue canzoni: la povertà, le difficoltà della vita che non aveva mai avuto. Cattiverie e maldicenze, oppure scomode verità, ma Faber continua il suo lavoro, spiato dai servizi segreti italiani che temono sia connesso con correnti marxiste e leniniste di cellule di sinistra estrema, secondo i servizi segreti connesse con la strage di Piazza Fontana e gli omicidi delle Brigate Rosse. Collabora ancora con De Gregori nel ’75, per dar vita a “Volume VIII”, bevendo e fumando tantissimo, dormendo di giorno e lavorando di notte, mentre De Gregori farà l’esatto contrario, seppur compagno di bevute. I due parleranno pochissimo e si incontreranno ancor meno in quel mese in Gallura, nella casa di De André; De Gregori racconterà di andare in città mentre Faber dormiva, o scriveva a casa. Nonostante la sregolatezza della loro collaborazione, sarà uno dei lavori più riusciti: “La cattiva strada”, “Oceano”, “Amico fragile”, “Giugno ’73” e “Canzone per l’estate”. In questo disco sono affrontate le tematiche di incapacità di comunicare tra persone, e il disagio verso un mondo borghese. Il successivo album del 1978, “Rimini”, segna l’inizio della collaborazione con l’autore Massimo Bubola, e tratta di argomenti come omosessualità e aborto, ma anche eventi di attualità, come il naufragio di una nave a Genova. In alcune canzoni, come “Sally” e “Volta la carta”, sono rilevanti le storie degli emarginati, degli ultimi, degli umili. Altro brano importante è “Coda di Lupo”. In quei tempi si trasferisce vicino a Tempo Pausania, in Sardegna, insieme alla compagna Dori Ghezzi. Nell’agosto del ’79 la coppia fu rapita dall’Anonima Sequestri sarda, e tenuta in ostaggio per quattro mesi finché il riscatto di 550 milioni fu pagato dal padre di Fabrizio. Quando sarà libero, Faber mostrerà solidarietà e compassione verso i suoi sequestratori, affermando: Noi ne siamo venuti fuori, mentre loro non potranno farlo mai. Il sequestro lo convince ancor di più ad affrontare nuove strade musicali, a contatto con la popolazione sarda. Il successivo album, infatti, senza titolo ma conosciuto come “L’indiano”, per l’immagine di un pellerossa, fu pubblicato nel 1981 e parlerà dei soprusi dei popoli oppressi, come il popolo sardo ritiene di essere, con sottili e velate allusioni al periodo della prigionia: “Fiume Sand Creek”, “Quello che non ho”, “Hotel Supramonte”, “Se ti tagliassero a pezzetti”. Dopo il disco, al processo perdonerà i suoi carcerieri, ma condannerà i mandanti, identificandoli come ricchi e potenti. Nell’84 esce “Creuza de’ ma’”, dedicato alla realtà calda mediterranea, tutto in lingua genovese, capisaldo della musica etnica internazionale, cui fonde la musica degli chansonnier francesi che tanto ammira. All’88 risale una collaborazione con Ivano Fossati, e nel ’90 esce “Le Nuvole”, album che riprende il titolo della commedia di Aristofane, alludendo ai potenti che oscurano il sole, collaborando con Mauro Pagani, di nuovo. L’oggetto di ricerca finì per essere l’Ottocento perbenista, cattolico, delle grandi utopie e del colonialismo; è un disco Sfacciato: “Ottocento”, “Don Raffaè”, “La domenica delle salme”. Fossati sarà ancora presente per la realizzazione dell’ultimo concept album, “Anime Salve”, del 1996, che si concentra sul tema della solitudine, sempre con quel tono irritante, contro le buone maniere: “Anime salve”, Dolcenera, “Khorakhané”, “Disamistade”, “Ho visto Nina volare”, “Smisurata preghiera”. I suoi familiari, dopo questi ultimi anni di vita, lo ricorderanno come l’unica persona in grado di provocare fastidio anche in un santo, anche in una bellissima giornata perfetta. Nell’estate del 1998, durante il tour Anime Salve, gli fu diagnosticato un carcinoma polmonare. Morì nell’11 gennaio 1999. Paolo Villaggio, suo amico di infanzia, dichiarerà, dopo il suo funerale, che ci fu una partecipazione, un raccoglimento, da parte di tutti gli esponenti della cultura italiana, così grande da convincerlo che lui non avrà mai un tale funerale: Ho avuto invidia per la prima volta di un funerale. Nella memoria collettiva egli rimane come un’icona della cultura italiana, un poeta moderno dalla parte degli ultimi, dalla parte del ghetto. Sarà omaggiato dai più grandi artisti della storia italiana. Fu il più grande cantautore della storia italiana, e le sue opere lo testimoniano.

Il Pescatore / Bocca di Rosa / Il Testamento di Tito / Volta la carta / Via del Campo / Fiume Sand Creek / Coda di Lupo / Sally / La guerra di Piero / Il Bombarolo / La Collina / Un matto / Un giudice / Un blasfemo / Un malato di cuore / Un medico / Un chimico / Un ottico / Il suonatore Jones / Canzone dell’amore perduto / La Città vecchia / La canzone di Marinella / Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers / Don Raffaè / Geordie / Cantico dei drogati / Si chiamava Gesù / La morte / Il testamento / Morire per delle idee / Verranno a chiederti del nostro amore / Leggenda di Natale / Via della croce / Oceano / Canzone di Maggio / Ballata dell’amore cieco o della vanità / Ballata del Michè / Ballata degli impiccati / La stagione del tuo amore / Amore che vieni amore che vai / Se ti tagliassero a pezzetti / Dolcenera / Creuza de’ ma’ / Ho Visto Nina Volare

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